Uno dei modi di autofinanziamento di Casa Santa Chiara per la costruzione della casa di Sottocastello di Cadore, fu l’organizzazione delle cosiddette «Banche del mattone».
Non so chi ebbe l’idea, comunque fu una buona e fortunata Iniziativa che servì non solo per raccogliere fondi per la casa, ma direi ancor più per coinvolgere tanta gente in un gesto di solidarietà. Non so se ne furono costituite fuori del Veneto, io vi racconto di quanto successe in Cadore.
Dovete sapere che a Vodo di Cadore, un paesetto tra Pieve e Cortina, tutti gli anni si ritrovavano a passare le vacanze un bel gruppo di ragazze e ragazzi provenienti soprattutto dalle aree di Venezia e Roma.
Erano ormai affiatati e da qualche anno organizzavano in paese dei giochi a cui partecipavano villeggianti e locali. Alcuni di noi sentivano però la necessità di fare qualche cosa di più per gli altri.
Nel 1968 fummo un giorno a Tai di Cadore a vedere un campo di lavoro per la costruzione di una casa per anziani e l’atmosfera ci fece molta impressione. Così quando nell’estate dell’anno successivo passò per Vodo un amico di Franco D’Alberton raccontandoci che stava partecipando a un campo di lavoro a Sottocastello (e dove stava?), decidemmo subito di andare a vedere da vicino di cosa si trattava, disponibili a dare il nostro contributo.
Andammo quello stesso giorno, Laura, Franco, io e … non ricordo se e chi era il quarto. Trovammo al centro della frazione una casa con un interminabile andirivieni di ragazze e… ragazzi.
Parlammo con l’Aldina e l’Anna Chiodini e prospettammo la nostra disponibilità a prestarci per un aiuto di una settimana.
Invece di costruire fisicamente la casa ci fu proposto di organizzare una «Banca del mattone» sia per raccogliere fondi sia per far conoscere e promuovere l’iniziativa.
Tornati a Vodo ne parlammo agli altri amici e in breve ci organizzammo.
Dovevamo trovare una tenda da collocare in un luogo centrale del paese dove avremmo aperto la banca, poi dovevamo preparare la “campagna di propaganda” e quindi chiedere i permessi alle autorità.
Uno di noi tirò fuori la sua tenda canadese ma più tardi don Piero, parroco di Vodo, ci mise a disposizione una grande e bella tenda militare. Un gruppo si mise a pensare a degli slogan, altri si misero a scriverli con grossi pennelli su ampi fogli bianchi, altri prepararono i supporti dove attaccarli, altri predisponevano i ciclostilati per un volantinaggio; tutti eravamo presi da un entusiasmo crescente.
Ricordo uno slogan: “Aiutiamole ad aiutarci”. Col che si voleva dire che erano quelle ragazze sole che ci stavano aiutando a guardare dentro di noi per essere migliori.
Vodo era troppo piccolo come paese, per cui pensammo subito a Borca e San Vito. Qui ottenemmo di piantare la tenda vicino al municipio, sul limitare della statale. Fu un successo sia il volantinaggio che il presidio di ragazzi e cartelli attorno alla tenda; soprattutto ricordo l’incontro con le persone, con tante persone interessate a capire, e noi a spiegare e le offerte che arrivavano abbondantemente.
Credo che colpisse più di tutto il nostro straordinario entusiasmo. E la sera tutti volevano dormire nella tenda. Quelli che partecipavano all’Operazione si distinguevano perché portavano al collo a mo’ di collana un laccio che per pendente aveva un cerchio bianco di plastica con su scritto da un lato “Casa S. Chiara” e dall’altro O. S. “Operazione Sottocastello”.
Si può dire che a Vodo non c’era quasi giovane o bambino che non avesse al collo questa strana collana, tanto che, finiti i cerchi di plastica, ci si industriò a farli di cartone.
Ma il bello doveva ancora venire.
Il campo di lavoro era associato ai Soci Costruttori e l’Aldina aveva invitato a visitarlo e a parlare a Cortina l’abbè Pierre, il fondatore dei soci. Andammo a prenderlo all’aeroporto di Venezia. Lo ricordo molto bene perché tornando verso Sottocastello ci chiese il perché e il tempo del nostro impegno e alla mia risposta limitata a 15 giorni ripeté: 15 giorni?!
Mi vergognai proprio sentendomi interpellato nel profondo, come se mi avesse detto che uno non può destinare agli altri un pezzo della sua vita ma deve giocarsela tutta facendone una scelta di vita.
A preparare la Banca del Mattone di Cortina e la conferenza dell’abbè Pierre andammo almeno una ventina di ragazzi.
Quella volta avemmo perfino le attenzioni della polizia che portò in questura due di noi a causa del forte impatto propagandistico.
Dovemmo rinunciare ai due uomini sandwich ed accontentarci del volantinaggio e delle locandine. Ma quella sera fummo ripagati: nella palestra della scuola c’erano moltissime persone e alle parole dell’abbè Pierre i cuori si sciolsero, ci riscoprimmo proprio fratelli, tutti figli di uno stesso Padre.
Alla fine si “scucirono” anche le tasche: molti diedero quello che in quel momento avevano, trovammo anche alcuni anelli, una signora ci diede addirittura un sacchetto pieno di monete d’oro.
Chi c’era non dimenticherà mai più la scena in casa Rota a Vodo nel momento in cui aprimmo il sacchetto: almeno 70 occhi che brillavano, grida di meraviglia, abbracci di gioia.
La grande tenda militare collocata tra varie difficoltà e incomprensioni a lato della chiesa di Cortina, fu meta nei giorni seguenti di un grande andirivieni.
Tante persone volevano sapere chi eravamo, quale era il problema delle ragazze sole, come era nata l’Operazione Sottocastello. Quella Banca del Mattone fu proprio eccezionale e nessun’altra più toccò quelle punte di offerte.
Ne aprimmo altre a Borca, Vodo, Pieve di Cadore, Belluno.
In quest’ultima città ricordo che un vecchio dall’aspetto ancora forte si interessò in maniera particolareggiata sul perché della casa e come la costruivamo e alla fine ci disse: “Bravi ragazzi” e dandoci 5.000 lire soggiunse “io sono Bristot, quello del caffè”.
Le Banche del Mattone furono allestite anche l’anno successivo nelle medesime località e l’anno dopo ancora in alcuni paesi dimostrando sempre la loro validità sia nel contribuire alla copertura di parte delle spese della costruzione, sia nel tenere desta l’attenzione della pubblica opinione sulla casa.
Un’altra azione che procurò un concreto aiuto nella ricerca di soluzioni alle continue necessità che la costruzione comportava, furono le visite fatte a vari imprenditori che producevano i materiali che servivano per la nostra opera.
Eravamo quasi sempre quei 3 o 4, profondamente timorosi ma, così convinti della giustezza della motivazione e così sicuri ed entusiasti nel presentare i perché della casa che quando avevamo finito di parlare spesso queste persone ci venivano incontro generosamente.
Roberto Bobbo