“Sono quasi spaventata, dico la verità, anche se le scelte che ho fatto sono scontate.
“Perché voi avreste fatto lo stesso se aveste incontrato una persona che aveva bisogno ed era alla ricerca di una casa e di un lavoro. Poi, dopo quella risposta, son venute tutte le altre scelte che abbiamo fatto.”
Tutto quello che si è fatto è stato realizzato sempre da una comunità, da un insieme di tante persone, di tanti volontari e anche adesso stiamo andando avanti grazie al grande apporto del volontariato e dei collaboratori che operano nei centri e nei gruppi famiglia i quali, pur non essendo volontari, lavorano con lo spirito del servizio.
Quindi sia i gruppi famiglia che i centri hanno una marcia in più rispetto, perché a Casa Santa Chiara gli operatori hanno la sensibilità di vedere non solo la difficoltà dei nostri ragazzi, ma soprattutto l’umanità che c’è in ognuno di loro e l’affetto che essi riescono a dare a ciascuno di noi”.
Signor Sindaco sono veramente commossa perché non credevo che per aver fatto queste cose dovesse esserci un premio. Io so che davanti a quello che ho fatto io c’è un gran numero di persone, di volontari che dedicano la loro vita a ciascuno di noi. Quindi non mi sembra che siano delle cose così eccezionali, soprattutto per un cristiano.
Per questo motivo, il riconoscimento che mi viene dato lo giro a tutte queste persone, alcune delle quali non sono più tra noi, ma continuano a seguirci. Sopratutto ai ragazzi, io credo che quello che sono riuscita a imparare da Chicco, da Tommaso e da tanti altri ragazzi è molto più di quel che avrei saputo fare io.
Certamente quando incominciai non potevo pensare a come si sarebbe sviluppata Casa S. Chiara. Mi sembrava solo di aprire la porta a qualcuno che bussava e di dire “entra poi vedremo cosa si può fare”.
Fu durante una grave malattia che maturai la decisione, una volta guarita, di dedicare la mia vita agli altri. Il contatto con le situazioni che il Signore mi faceva incontrare mi portava a offrire delle risposte che cercavano di tenere conto del bene delle persone, giacchè quello che più importa è volere bene. E’ l’amore che ispira le soluzioni migliori. Come è stato ricordato da don Fiorenzo, le scelte non venivano fatte a tavolino, ma si riferivano a persone concrete, alle situazioni di bisogno che presentavano, per le quali si cercavano soluzioni adeguate andando incontro anche alle famiglie provate dalle difficoltà di un figlio portatore di handicap.
Il contatto diretto con tante situazioni di sofferenza e di emarginazione spingeva a cercare le soluzioni che sembravano rispondere ai bisogni delle persone, che non sono solo di ordine materiale, ma soprattutto di ordine affettivo. Per questo le dimensioni del gruppo e le motivazioni di quanti vi operano, come volontari o come educatori, hanno sempre avuto una grande importanza.
Desidero anche riconoscere che nelle realizzazioni di Casa S. Chiara un ruolo fondamentale l’ha avuto la Provvidenza, che si è servita di tante persone e situazioni, per ogni cosa non ci siamo mai chiesti se c’erano soldi, anzi l’unica certezza era che dei soldi non ce n’erano mai, però abbiamo sempre sfidato la Provvidenza, sapendo che il Signore ci sarebbe stato vicino.
Quando iniziammo la casa a Sottocastello non avevamo una lira. C’era un appezzamento di terreno acquistato con molti sacrifici per un milione e ottocentomila lire e l’entusiasmo di giovani volontari per la costruzione della casa. E la casa in tre estati è stata edificata. Fu il sindaco di Pieve di Cadore in quell’occasione ad aiutarci ad edificare la casa. Quando si è deciso di costruire la palestra a Villanova c’era la determinazione del sindaco di Castenaso, Maria Grazia Baruffaldi, e il terreno messo a disposizione per 99 anni dall’Opera Bovi. Non un euro. E la palestra ora c’è e funziona. Non sono mancati aiuti insperati da tante persone e per la maggioranza il lavoro di volontariato. Gli esempi possono essere tanti. E con la Provvidenza desidero sottolineare l’appoggio della comunità cristiana nelle persone dei suoi Pastori, i Vescovi che ci hanno sempre voluto bene, e di tanti sacerdoti, parrocchie, gruppi giovanili che ci hanno aiutato Certamente nel corso degli anni sono cambiate tante cose. L’avvio di servizi a carattere continuativo ha richiesto personale dipendente e non solo volontari.
L’organizzazione si è fatta complessa come in un’azienda, anche se a me questo termine non piace e lo rifiuto e vorrei solo che Casa S. Chiara rimanesse sempre una grande famiglia. Vorrei che Casa S. Chiara – nata come espressione del volontariato che rappresenta
l’ossigeno per la nostra comunità – rimanesse caratterizzata da una duplice tensione: quella realizzata nel modo migliore con servizi continuativi, che operano in convenzione con l’ente pubblico, e quella di volontariato, che pure collabora alla vita della società ma con modalità diverse.
Pensiamo al Ponte che va avanti da 40 anni solo col volontariato, e il volontari ci sono sempre. Sono convinta che possa esserci un arricchimento reciproco dalla integrazione di queste forme di servizio in una comune ispirazione di giustizia e solidarietà nel servizio e nella condivisione. Giustamente oggi si parla di assistenza sociale intesa come servizi alla persona. Vorrei rilevare che i servizi debbono tenere conto del bene di ogni singola persona, di tutti i suoi bisogni, compresi quelli delle relazioni umane. Oggi si corre il rischio di ricreare per esigenze di ordine economico strutture analoghe a quelle degli istituti assistenziali di 30-40 anni fa per le dimensioni del gruppo e la risposta a tutti i bisogni in un’unica struttura. Molti dicono che le spese sarebbero minori se nello stesso centro i ragazzi potessero lavorare e vivere. Ma noi vogliamo che i ragazzi abbiano una vera casa e possano uscire la mattina per andare al lavoro. Vorrei anche segnalare un problema che si pone con l’invecchiamento delle persone disabili, quando al compimento dei 65 anni cessa l’assistenza alle stesse persone, assicurata dal sistema sanitario, e subentra quella agli anziani, per la quale si farebbe riferimento alle rette delle case di riposo erogate dall’ente locale.
In realtà si dovrebbe tenere conto anche della situazione di disabilità che, ovviamente non scompare con l’età, ma caso mai si accresce.
Nei casi gravi si potrebbero prendere come riferimento le residenze protette, ma anche nelle altre situazioni si dovrebbe tenere conto della disabilità con interventi diversi in relazione ai bisogni delle persone e al grado di autonomia, come sosteneva don Lorenzo Milani “non si possono fare parti uguali tra diversi”. La burocrazia e l’uguaglianza degli interventi non vanno d’accordo con la giustizia. E’ un problema che mi permetto segnalare all’attenzione di chi ha responsabilità in questo settore. Se si vuole veramente il bene delle persone auspichiamo che una soluzione possa trovarsi.
E per concludere vorrei rivolgermi a quanti vogliono far parte della loro vita con le persone che si trovano in difficoltà o sono sole. In tanti anni ho avvicinato giovani meravigliosi, che nel contatto con i nostri ragazzi hanno scoperto il senso della vita. Vorrei dire a loro: lasciatevi conquistare, dai nostri ragazzi non abbiate paura di giocare anche la vostra vita o una parte della vostra vita nel servizio ai fratelli più bisognosi. La società ha bisogno del vostro continuo entusiasmo e della vostra generosità. Essi sapranno ripagarvi con tanto affetto e la riscoperta dei valori che più contano nella vita. “
Aldina Balboni